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La Direttiva quadro stabilisce che gli Stati membri elaborino una strategia che si basi su una valutazione iniziale dello stato ambientale dell'ecosistema marino e sulla definizione del buono stato ambientale.
Per buono stato ambientale delle acque marine si intende la "capacità di preservare la diversità ecologica, la vitalità dei mari e degli oceani affinché siano puliti, sani e produttivi mantenendo l’utilizzo dell’ambiente marino ad un livello sostenibile e salvaguardando il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future".
La direttiva, inoltre, dispone che ciascuno Stato elabori una strategia al fine di individuare traguardi ambientali (target) intermedi attraverso specifici programmi di azione e di monitoraggio, avviati dopo un’attenta valutazione iniziale dello stato di qualità dei mari.
Per consentire agli Stati membri di raggiungere l’obiettivo prefissato, la direttiva ha individuato 11 descrittori ossia dei parametri che siano in grado di fornire indicazioni sullo stato dell'ecosistema e che permettano di individuare le azioni da intraprendere al fine di raggiungere il buono stato ambientale (Good Environmental Status - GES).
Il mantenimento della biodiversità, la qualità e la presenza di habitat nonché la distribuzione e l’abbondanza delle specie devono essere in linea con le condizioni geografiche e climatiche prevalenti. Il buono stato di questo descrittore ha come obiettivo il mantenimento soddisfacente di queste specie peraltro elencate nella Direttiva Habitat, nella Direttiva Uccelli e nel protocollo SPA/BD relativo al mantenimento della biodiversità marina e alla gestione sostenibile delle coste. Questo descrittore ha un vastissimo campo di applicazione sia biologico sia geografico.
Nel corso dell'evoluzione la colonizzazione di nuove aree geografiche da parte degli organismi animali e vegetali è avvenuta con processi lenti di dispersione naturale e questo fenomeno ha rappresentato uno dei motori dell’evoluzione stessa. Tuttavia, a partire dall’inizio dell’Olocene, ma con un’intensità crescente nel corso degli ultimi cinque secoli, l’azione dell’uomo ha profondamente alterato tali processi, sia attraverso il trasporto involontario di piante ed animali, sia per la diffusione accidentale o intenzionale di specie allevate o trasportate per gli scopi più diversi. La diffusione incontrollata di specie introdotte dall’uomo al di fuori del loro areale di distribuzione originario, oltre alle conseguenze di tipo ecologico, ha serie ripercussioni di carattere socio–economico e sanitario.
ISPRA, nell’ambito di una specifica convenzione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha messo a punto e realizzato un sito web dedicato alle specie aliene invasive: www.specieinvasive.it.
Le popolazioni di tutti i pesci, molluschi e crostacei sfruttati a fini commerciali devono rimanere entro limiti biologicamente sicuri, presentando una ripartizione della popolazione per età e dimensioni indicativa della buona salute dello stock. Pertanto le specie commerciali devono essere sfruttate in modo sostenibile, (compatibilmente con il rendimento massimo sostenibile a lungo termine), le specie devono mantenere un'adeguata capacità riproduttiva (in grado di riprodurre, in media, almeno una volta prima di essere catturate) e gli stock devono mantenere una struttura di taglia ed età tali da consentire un adeguato reclutamento.
E' la complessa rete (alimentare) dei flussi di materia ed energia tra i componenti dell'ecosistema marino e il suo buon funzionamento è fondamentale per la salute generale dell'ambiente. Questo descrittore s’incentra sugli aspetti funzionali della rete trofica marina, in particolare i tassi e le direzioni di trasferimento di energia e i livelli di produttività, partendo dalla componente pelagica del plancton (fito e zoo), che si pone alla base della rete trofica, fino ai componenti superiori (pesci, mammiferi, uccelli). Attualmente sono ancora insufficienti le conoscenze relative al trasferimento di energia tra i vari livelli trofici e l'interazione tra le diverse specie, pertanto ci si focalizza sulla distribuzione di abbondanza e sulla produttività delle specie principali e dei gruppi trofici. E’ perciò evidente una significativa sovrapposizione con il Descrittore 1.
L'eutrofizzazione viene definita come un processo degenerativo delle acque, indotto da eccessivi apporti di sostanze ad effetto fertilizzante (azoto, fosforo ed altre sostanze fitostimolanti) trasportate a mare dai fiumi e provenienti dalle attività agro-zootecniche e dagli insediamenti urbani. L'agricoltura intensiva e la zootecnia contribuiscono ad incrementare soprattutto i carichi di azoto riversati in mare, mentre gli scarichi civili sono responsabili dell'incremento di fosforo. Questi nutrienti portano ad un aumento della biomassa micro e macro algale e di conseguenza ad uno squilibrio trofico dell'intero ecosistema. Il fenomeno si manifesta con alterazione del colore e della trasparenza delle acque per le alte concentrazioni di microalghe (fitoplancton) in sospensione e con la conseguente carenza di ossigeno al fondo con stati di sofferenze nelle comunità bentoniche (pesci di fondo, molluschi, crostacei, ecc.). Tali fenomeni sono generalmente caratterizzati da una rapida evoluzione tuttavia possono incidere notevolmente sulla biodiversità così come sulla produttività e pescosità.
I fondali marini e gli habitat bentonici associati, sono alla base di gran parte della biodiversità dei mari, per i cicli dei nutrienti e dei flussi di energia a livelli trofici superiori. Le attività umane che principalmente contribuiscono ad una significativa riduzione della diversità delle comunità bentoniche sono rappresentate ad esempio dall'uso di attrezzi da pesca a traino sul fondo che producono abrasione ed estrazione, ma anche gli apporti fluviali e il trasporto navale possono avere impatti importanti. Il monitoraggio di questo descrittore permette di controllare che le pressioni umane sui fondali marini non influiscano negativamente sulle componenti dell'ecosistema.
Per questo descrittore vengono prese in considerazione le alterazioni permanenti delle condizioni idrografiche dovute alle infrastrutture costiere e marine realizzate, in corso di realizzazione o progettate a partire dal 2012. La realizzazione di infrastrutture come abitazioni e porti, dighe foranee, piattaforme offshore ecc., può avere un impatto su ampia scala e quindi se mal gestito alterare le condizioni idrografiche in modo permanente. Il termine condizioni idrografiche include sia i processi idrologici riferibili alla colonna d’acqua quali correnti, energia di fondo, regime salino e termico sia le caratteristiche fisiografiche dei fondali in termini morfologici e di natura dei substrati. Gli impatti derivanti dallo sviluppo marino e costiero sono attualmente gestiti attraverso le procedure che precedono le concessioni delle licenze marine e il processo di autorizzazioni, in linea con i requisiti della direttiva sulla valutazione dell'impatto ambientale, e in linea con la direttiva quadro sulle acque, e con la direttiva Habitat. Pertanto la modifica permanente delle condizioni idrografiche non deve influire negativamente sugli ecosistemi marini.
Le sostanze inquinanti includono composti sintetici quali pesticidi, agenti antivegetativi, prodotti farmaceutici, ecc., composti non sintetici come metalli pesanti, idrocarburi, ecc., ed altre sostanze considerate inquinanti sia solide, liquide che gassose. Le sostanze pericolose possono entrare nell'ambiente marino sia attraverso fonti naturali sia come conseguenza di attività antropiche, sia come immissioni dirette sia attraverso fiumi, estuari e deposizione atmosferica. L'inquinamento è considerato come l'introduzione di sostanze che abbiano, o possano avere, effetti dannosi per l'ambiente marino che si traducono in perdita di biodiversità, pericoli per la salute umana, riduzione per la qualità delle acque, e diminuzione della nostra possibilità di uso del mare.
Per contaminanti, si intendono in questo caso particolare, le sostanze chimiche organiche e i metalli in tracce che possono derivare per una serie di ragioni, da fonti antropiche (industria, ad esempio scarichi di acque reflue, l'agricoltura, acquacoltura, ecc) e da fonti naturali (ad esempio i fattori naturali geologici compresa l'attività geotermica). Con l'eccezione di alcuni molluschi, i controlli sui prodotti della pesca sono generalmente effettuati poco prima che questi raggiungano il consumatore, rendendo quasi impossibile determinare con precisione da dove il campione possa provenire. Per tale motivo i dati e le informazioni da utilizzare sono limitati a specie edibili per le quali si riesce a risalire alla provenienza all’interno della sub regione.
E' definito rifiuto marino un qualsiasi materiale solido persistente, fabbricato o trasformato e in seguito scartato, abbandonato o perso in ambiente marino e costiero. Si tratta di oggetti costruiti ed adoperati quotidianamente dall’uomo e poi dispersi lungo la costa ed in mare, compresi quei materiali che dalla terra ferma, raggiungono il mare attraverso i fiumi, il vento, le acque di dilavamento e gli scarichi urbani. Sono costituiti da plastica, legno, metallo, vetro, gomma, vestiario, carta ecc., mentre non vengono inclusi i residui semisolidi quali oli minerali e vegetali, paraffine e altre sostanze chimiche. La maggior parte dei rifiuti marini è costituita da materiale che degrada lentamente, se non del tutto, quindi un ingresso continuo di grandi quantità di questi materiali produce un inevitabile e progressivo loro accumulo nell'ambiente marino e costiero.
Per approfondimenti visita la pagina dedicata ai rifiuti spiaggiati e microplastiche.
Descrittore 11: L’introduzione di energia, comprese le fonti sonore sottomarine. Questo descrittore ha lo scopo di affrontare l'impatto del "rumore" sull'ambiente marino e al momento non copre le conseguenze di eventuali altre forme di energia. L'introduzione artificiale antropica di fonti sonore nell'ambiente marino può avvenire o attraverso suoni impulsivi, causati principalmente da attività come l’estrazione di petrolio e gas e l’installazione di pali per la costruzione di piattaforme, stazioni eoliche oppure attraverso suoni continui causati principalmente dal trasporto marittimo. Tutte queste fonti sonore influiscono negativamente sugli organismi marini in vari modi. I rumori continui possono degradare il naturale l'habitat sonoro, infatti segnali biologicamente rilevanti, quali i suoni di ecolocalizzazione, sono mascherati, rendendo in tal modo più difficile o impossibile l’accoppiamento, la localizzazione del cibo e l’individuazione dei predatori.; mentre i suoni impulsivi possono causare una serie di reazioni comportamentali come evitare di nutrirsi o di riprodursi in quelle aree, o possono condurre a effetti fisiologici quali danni temporanei o permanenti all'apparato uditivo, ed a livelli molto elevati, anche alla morte.
Per approfondimenti vai alla pagina dedicata al rumore subacqueo e alla pagina dei progetti europei.